
Donne e motori
Irma Conti, Elisabetta Cozzi, Rita Paparella, Laura Lavizzari e Alessia Branca
Maggio 2025
RITA PAPARELLA
Ingegnere nucleare, PhD in fisica delle particelle. Giornalista pubblicista e consulente tecnico in progetti industriali di innovazione e R&D
“Donne e Motori? Gioie e basta” è il progetto fotografico del Museo Fratelli Cozzi che sfida i pregiudizi di genere, raccontando la forza di 40 donne attraverso gli scatti di Camilla Albertini. La terza edizione celebra la sorellanza, per superare gli stereotipi sulla solidarietà femminile.
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Come ogni mese, vi accompagniamo alla scoperta delle donne protagoniste e dei luoghi che hanno ospitato e ospiteranno la mostra e il progetto.
Irma Conti: la forza della competenza e dei valori al servizio della giustizia
Garante Nazionale delle persone private della libertà personale. Avvocato Cassazionista esperta in materia penale. Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Presidente dell’Associazione Donne Giuriste Italia.
In un’epoca in cui la leadership si misura sempre più sulla capacità di unire competenza, visione e integrità, la figura dell’Avv. Irma Conti emerge come simbolo esemplare di determinazione, onestà e impegno civico. Parlando con lei della sua storia risulta evidente come abbia saputo evolversi dinamicamente in una carriera giuridica brillante e profondamente etica, diventando un punto di riferimento nel panorama del diritto penale italiano e una voce autorevole nella promozione dei diritti e della parità di genere. Insomma, la SISTER per eccellenza!
Già laureandosi in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma lascia il segno con una tesi innovativa sul trust, la seconda redatta in Italia su questo tema, dimostrando subito un acume critico e una capacità analitica fuori dal comune, con una lettura innovativa e rigorosa, anticipando dibattiti oggi attualissimi.
Alla formazione accademica si affianca una solida esperienza professionale: cultrice della materia e tutor in Procedura Penale fino al 2011, nel 2004 consegue l’abilitazione forense, dopo un’intensa pratica con l’Avv. Alessandro Cassiani. Da lì, il cammino si fa deciso e coerente: patrocinio in Cassazione nel 2016, ruoli chiave nell’Ordine degli Avvocati di Roma, e infine la fondazione nel 2021 dello Studio Legale Irma Conti – Founder & CEO.
Oltre la tecnica giuridica, ciò che rende la “nostra” Irma una professionista di riferimento è la coerenza profonda con i suoi valori. La sua carriera è un intreccio costante tra sapere giuridico e responsabilità sociale. Dal 2020 è presidente nazionale dell’Associazione Donne Giuriste Italia (ADGI), con la quale promuove riforme legislative, culturali e professionali a favore dell’equità di genere.
La sua nomina nel 2024 come componente del Collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale segna un’ulteriore tappa nella sua missione: garantire che anche chi ha infranto il patto sociale non perda la dignità umana. “Lo Stato ha il potere di limitare la libertà, ma il dovere di tutelare i diritti anche delle persone private della libertà personale,” sottolinea, richiamando la centralità della funzione educativa della pena.
Irma è una donna che non ha mai separato il suo impegno professionale dalla dimensione personale. Profondamente legata alla famiglia e alle radici, rivendica con orgoglio il patrimonio valoriale trasmessole dai genitori, imprenditori onesti e tenaci.
“La passione e la determinazione portano alla più grande soddisfazione. Nulla è impossibile, ma nulla è facile,” afferma, lanciando un messaggio chiaro alle giovani professioniste: credere in se stesse, formarsi con serietà e non accettare compromessi sui propri sogni.
Un faro incrollabile nel mare della giustizia che ha fatto della propria visibilità un veicolo di consapevolezza collettiva. Da quando ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica per l’impegno nella lotta alla violenza di genere, ne indossa ogni giorno la rosellina sulla giacca. Non come gesto esibizionistico, ma come richiamo quotidiano al dovere morale di onorare quella battaglia. La sua visione della sorellanza si fonda sull’empatia ma anche sull’esortazione alla responsabilità individuale: “La libertà economica è la base della libertà di scelta per ogni donna”, afferma con fermezza. Ed è in questo binomio (diritti e strumenti per esercitarli) che si gioca il futuro dell’uguaglianza.
Nel 2025, Irma è stata nominata Consigliera di Fiducia presso la LUISS Guido Carli di Roma, un ruolo che definisce un privilegio e che incarna perfettamente la sua visione di guida etica e professionale per i giovani, che definisce “la linfa vitale del Paese”.
“Tutto richiede impegno. Ma la soddisfazione di avercela fatta, con le proprie forze, è la più grande delle ricompense”.
Rita Paparella: Come Garri Kasparov vs Deep Blue, io vs ChatGPT
Ingegnere nucleare, PhD in fisica delle particelle. Giornalista pubblicista e consulente tecnico in progetti industriali di innovazione e R&D
🌱Inizio e motivazioni
- Rita, partiamo dall’inizio: cosa ti ha spinto a scegliere ingegneria nucleare? C’era un momento particolare che ha acceso questa passione?
Fui affascinata dall’ingegneria nucleare guardando, una notte, da ragazzina, un documentario sull’incidente di Chernobyl. La passione per gli acceleratori di particelle, invece, me la trasmise il mio professore di fisica del liceo, Fausto Repetto.
🧠 Sfide nella formazione e nella ricerca
- Il tuo primo lavoro al CERN, un dottorato in fisica delle particelle in Francia, e affrontare esperienze nei più grandi centri di ricerca sulla fisica delle particelle al mondo dev’essere stato molto impegnativo: qual è stata la sfida più grande in quel periodo?
La sfida contro me stessa e le mie paure. Ho sempre sofferto della sindrome dell’impostore. Ma la voglia di partire, in primis per il CERN, era troppo grande per lasciarmi bloccare.
- Hai lavorato in ambienti altamente competitivi, spesso anche maschili. Hai mai sentito di dover “dimostrare di più” rispetto ai colleghi?
Sempre. Ma detesto le ingiustizie, quindi, non potevo farmi sopraffare.
La situazione si è rivelò particolarmente delicata nel 2007, quando mi fu affidata la responsabilità di team leader: una giovane donna a capo di un gruppo composto da ricercatori uomini, provenienti da tre Paesi diversi, ciascuno portatore di approcci, consuetudini professionali e modalità relazionali eterogenee. Ritengo che il mio responsabile, all’epoca, avesse sottovalutato la complessità del contesto e la reazione del gruppo di lavoro. Non fu un successo clamoroso, ma con determinazione e rigore riuscii a conseguire il risultato atteso.
🔄 Transizione e cambiamento
- Il tuo passaggio dal mondo della ricerca accademica alla consulenza aziendale è piuttosto insolito. Cosa ti ha spinto a questo cambiamento? Come sei riuscita a reinventarti mantenendo intatta la tua identità professionale?
Ho scelto di interrompere la carriera nella ricerca per seguire un desiderio profondo: costruire una famiglia in Italia, l’unico Paese in cui la persona che sarebbe poi diventata mio marito potesse vivere con serenità. Purtroppo, proprio negli anni che, con il senno di poi, riconosco come tra i più intensi e ricchi sul piano umano e professionale, mi sono lasciata frenare da insicurezze e da una percezione distorta di me stessa, convinta che la mia presenza in certi contesti fosse frutto del caso più che del merito. Erano esperienze cariche di significato e momenti irripetibili. Con il tempo ho compreso che tutto può essere appreso e realizzato, se affrontato con dedizione e impegno. Questo approccio mi ha permesso di affrontare temi completamente nuovi, sostenuta dalla mia curiosità e dal desiderio costante di crescita personale e professionale.
🌍 Esperienze personali e visione
- Hai vissuto in contesti internazionali. In che modo il confronto con altre culture ha arricchito la tua visione del lavoro e della vita?
Il dialogo con altre culture non è solo uno scambio, ma un atto trasformativo: ogni incontro autentico allarga l’orizzonte del pensiero, raffina le competenze, scolpisce l’identità. Come affermava Claude Lévi-Strauss, “l’umanità si trova meno nella somiglianza che nella diversità”; ed è proprio in questa alterità che scopriamo nuove chiavi per leggere il mondo, arricchendo tanto la nostra vita professionale quanto quella interiore. In parole povere, rimanere in contatto con gli altri ci rende più umani.
💪 Resilienza e ispirazione
- In quale momento ti sei sentita davvero orgogliosa di te stessa, anche se magari nessuno se n’è accorto?
Quando è nato il mio primo bambino. Non avrei mai creduto di poterci riuscire. Mi ha regalato tutto quello che non sapevo di avere.
💡 Messaggio alle giovani donne
- Cosa diresti oggi a una giovane donna che si sente “fuori posto” in un mondo tecnico o scientifico? Se potessi parlare con la “Rita” di vent’anni fa, cosa le diresti?
Di fare domande, tante, senza paura, e di concentrarsi sui suoi obiettivi. Le direi che, come ho imparato col tempo e ripeto ogni giorno a mia figlia, può riuscire a fare qualunque cosa lei voglia, purché si impegni.

Elisabetta Cozzi e Laura Lavizzari con Germano Lanzoni
Elisabetta Cozzi: l’arte di trasformare ogni occasione in valore per tutti
Fondatrice e Presidente Museo Fratelli Cozzi. Presidente Associazione Friends of Museo Fratelli Cozzi
Elisabetta Cozzi è una di quelle persone capaci di vivere la propria storia personale e professionale come un’opera aperta, in continuo divenire, dove ogni ostacolo diventa possibilità e ogni traguardo, punto di partenza per qualcosa di più grande, seguendo lo slancio di una profonda passione per le relazioni, per l’incontro con l’altro come occasione per apprendere, condividere e crescere. Ed è proprio questa la cifra distintiva del suo percorso: l’attitudine a fare rete, a nutrire cultura e spirito, a restituire valore alla comunità.
Dopo la laurea in Economia Aziendale, indirizzo Marketing, dallo stage alla Rinascente, all’esperienza in una multinazionale americana, Elisabetta sperimenta entusiasmo e pari opportunità, ma anche crepe nascoste nel sistema. Dopo aver accettato la sfida di trasformare l’azienda di famiglia, portando metodo, visione e cultura del cliente, nel 2008 crea Woman In Power, iniziativa volta ad avvicinare il mondo femminile alla concessionaria, finalista nel 2013 al concorso nazionale “Premio Immagini Amiche”, sostenuto dall’alto patronato del Presidente della Repubblica e dedicato all’ impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini.
Nel 2015 Elisabetta fonda il Museo Fratelli Cozzi, per custodire la collezione di suo padre e valorizzare il patrimonio culturale dell’automobile, rendendolo luogo vivo di relazioni, memoria e innovazione. Con almeno un esemplare di ogni modello Alfa Romeo commercializzato dal 1950 in poi, e un ricchissimo archivio di libri, riviste, poster, documenti, trofei e fotografie, il Museo è oggi aperto a scuole, appassionati e studiosi. Rappresenta un punto di riferimento a livello mondiale per la narrazione della storia dell’automobile, con particolare attenzione agli aspetti legati alla vendita, al marketing e al rapporto con il consumatore.
Il Museo è membro di MuseoCity, della rete di MuseImpresa e del Circuito Lombardo dei Musei del Design.
Nel 2021 ACI Storico, ASI, e RIVS hanno affiliato il Museo alle loro prestigiose associazioni, riconoscendone il ruolo istituzionale di valorizzazione della cultura motoristica italiana ed internazionale.
La sua architettura essenziale e sobria, progettata da Buratti Architetti, crea un dialogo tra auto e spazio, con un raffinato contrasto cromatico che contribuisce a renderlo il “luogo dell’emozione” e fulcro per iniziative culturali e formative. Mostre tematiche, rassegne, presentazioni e talk celebrano il patrimonio storico e la creatività legati al mondo dell’automobile. Queste iniziative hanno un forte impatto culturale perché permettono di raccontare la storia industriale, artistica e sociale dell’automobilismo italiano in modo accessibile e coinvolgente. Spesso gli eventi intrecciano l’automobile con altre discipline, dal design alla moda, dal cinema alla letteratura, offrendo al pubblico un’esperienza ricca di spunti. Appassionati di motori, famiglie, studenti e cittadini possono ritrovarsi al museo per condividere storie e passioni, alimentando una community locale e globale. Contest e laboratori per le scuole, inoltre, offrono una lettura attiva della storia industriale del territorio. “Tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.
Con visione manageriale e attenzione al dettaglio, la fondatrice ha saputo trasformare il museo in una location versatile e d’eccellenza, capace di accogliere eventi privati curati in ogni aspetto. La sua capacità organizzativa rende ogni esperienza unica, raffinata e perfettamente allineata ai desideri degli ospiti. Elisabetta, inoltre, si dimostra sempre attenta anche alle esigenze dei più discriminati. Dal 2023 l’impegno del Museo per l’accessibilità ha assunto concrete forme attraverso il progetto “Museo per tutti”, con cui ha introdotto percorsi tattili per ipovedenti, interpreti LIS, video sottotitolati, sedie a rotelle, formazione del personale, visite dedicate a persone con autismo o disabilità psichiche, e adattamenti digitali e strutturali. Parallelamente, la sostenibilità e la riduzione delle disuguaglianze sono state al centro del programma educativo con il progetto didattico “L’inclusione. La generazione Z come accoglie le diversità?”, promosso con la Fondazione Ticino Olona e supportato dal Museo, che coinvolge le scuole superiori aderenti, stimolando la creazione di contenuti digitali sul patrimonio, l’inclusione e la mobilità sostenibile.
La mostra “Donne e Motori? Gioie e basta”, nata in seno all’associazione senza scopo di lucro Friends of Museo Fratelli Cozzi, fondata da Elisabetta, vede la luce nel 2022 come strumento culturale, un atto di ribellione contro gli stereotipi, che pone domande, stimola dialoghi, costruisce consapevolezza, crea connessioni. Il valore profondo della mostra non sta solo nell’eleganza delle immagini, ma nella narrazione che promuove: un racconto corale di emancipazione e autenticità, che unisce generazioni e territori. È un atto di cultura e cura, capace di parlare a chiunque, restituendo al binomio “donne e motori” una nuova dignità, fatta di passione, competenza, libertà. La forza delle immagini a rappresentare il concetto assoluto di bellezza, la Kalokagathia greca, che si rifletteva anche nell’importanza attribuita alla conoscenza, alla saggezza e all’equilibrio emotivo.
La sua cifra, ancora una volta, è questa: fare e far sapere. Rendere ogni gesto, ogni intuizione, un’occasione per restituire valore.
Laura Lavizzari: gentilezza, forza e scelte coraggiose
Senior Project Manager Museo Fratelli Cozzi. Volontaria Refettorio Ambrosiano
Manager raffinata di giorno, volontaria instancabile di sera, Laura Lavizzari è anche madre determinata, amica leale e spirito libero “a sua insaputa”, tranne quando si tratta di fare scelte importanti.
Oggi è Senior Project Manager al Museo Fratelli Cozzi, dove guida progetti culturali che trasformano una collezione di auto d’epoca in un laboratorio di emozioni, valori e bellezza. “È un’esperienza che lascia il segno”. E quel segno arriva dritto, soprattutto quando si tratta di parlare ai ragazzi, accompagnandoli in riflessioni sul gender gap o sull’inclusione. Ragazzi che entrano distratti e ne escono con idee forti e, a volte, persino poesia.
Di sera, invece, la si trova dietro le quinte del Refettorio Ambrosiano, a lavare piatti o a servire a
tavola con l’umiltà di chi sa che il vero servizio non ha bisogno di platee.
La storia di Laura comincia prima, molto prima. Cresciuta a Milano, si iscrive a Lettere convinta di essere innamorata dell’insegnamento. Poi cambia rotta: “Avevo bisogno di indipendenza, non volevo dover contare su nessuno, tantomeno su un uomo”. Lascia l’università e, congiuntamente alla ritrosia della famiglia ad accettare la sua decisione, affronta anche il suo primo colloquio con candida onestà, “Non ho esperienza, ma ho una gran voglia di imparare e di dare il mio contributo”, e viene assunta, ovviamente. È difficile resistere a tanta trasparenza armata di energia!
Da lì, una carriera costruita gradualmente, transitando per Information Resources Inc., dove
conoscerà Elisabetta Cozzi, e poi Catalina Italia, dove diventerà Country Manager.
Professionalmente cresce in ambienti dove il top management è quasi esclusivamente maschile ma non percepisce nessun tipo di discriminazione, anzi, e in questo contesto Laura entra in punta di piedi ma con passo deciso. “Mi manca un po’ quella incoscienza che mi ha sostenuto in tanti passaggi importanti”.
I Nel 2020, in piena pandemia, lascia la sua bellissima carriera senza un piano B. “Non avevo più energie. Così ho scelto il presente”. Si prende il suo tempo, ritrova i gesti quotidiani insieme alla sua famiglia, si gode i momenti e quando Elisabetta la chiama per affiancarla nella sua sfida al Museo, lei risponde con l’entusiasmo di sempre ma con un equilibrio interiore diverso. Insieme trasformano uno spazio chiuso a causa del COVID in un polo vitale, aperto alla comunità, a nuovi progetti, ad un nuovo paradigma di bellezza.
Con un po’ di commozione negli occhi, mi confida: “Abbiamo sempre lavorato bene insieme, pur essendo molto diverse. Forse quella sottile solitudine che sentivo nel mio cammino, in parte la conosce anche lei, pur non avendo bisogno di una spalla. Ma il nostro legame va oltre la sfera professionale e a proposito di sorellanza, con Elisabetta, ci siamo scelte. Perché ci si può scegliere per affinità, per quel senso di appartenenza che non chiede nulla in cambio: è esserci, con generosità piena, senza ombre né retropensieri.”
Nel privato, anche qui, nessuno schema classico: Laura cresce sua figlia Asia da sola per i primi anni, poi, dopo un percorso condiviso, decide di sposare il compagno… ventidue anni dopo. “Non era il caso di affrettarsi”, verrebbe da dire!
“I miei valori hanno sempre guidato le mie scelte portandomi spesso a seguire percorsi personali e professionali non convenzionali: l’indipendenza in gioventù e oggi la libertà di scegliere cosa mi fa stare bene”. Una donna che sa scegliere, anche quando la scelta è difficile.
Sempre con dignità, con gentilezza, e con quel tocco da leonessa che afferra la vita e ne fa quel che vuole!

Alessia Branca con la campionessa paralimpica Martina Rabbolini
Alessia Branca: educare come atto sociale e vocazione civile
Pedagogista. Docente di sostegno
C’è una forma di coraggio silenzioso che non fa rumore ma trasforma esistenze. Alessia Branca, pedagogista con quasi vent’anni di esperienza, rappresenta con il suo lavoro quotidiano l’essenza più autentica dell’impatto sociale che può avere una persona quando sceglie di dedicarsi all’altro, con competenza e dedizione.
Il suo percorso è iniziato da educatrice domiciliare, a fianco di minori con disabilità o in condizioni di fragilità socio-economica. “Ho fortemente desiderato di lavorare con ragazzi in difficoltà per dare senso a ciò che facevo. Volevo un mestiere etico, capace di lasciare un segno”. E quel segno, Alessia lo ha lasciato, costruendo legami profondi e duraturi.
Nel tempo, ha affinato una solida competenza nella comunicazione inclusiva, lavorando in particolare con utenti non vedenti per la Cooperativa La Ruota. Un ambito, questo, ancora privo di una vera formazione sistemica: “Il percorso di abilitazione italiano non prevede percorsi strutturati per l’assistenza alla comunicazione. Ho imparato sul campo: il braille, gli ausili, le tecniche di accompagnamento, con corsi specifici ma anche grazie a una forte autoformazione». Questo spirito di iniziativa ha fatto di lei una figura esperta e affidabile, capace di entrare in relazione profonda con chi è più fragile, anche nei contesti più complessi.
Confrontarsi con un disabile non significa fare semplicemente “assistenzialismo”, ma significa rispetto per la persona, arricchimento umano oltre che professionale, desiderio di realizzare quegli obiettivi che le potenzialità e le risorse dell’alunno ci permetteranno di prefissarci. L’insegnante di sostegno, oggi, viene ad assumere compiti nuovi, più specifici ed impegnativi, in quanto non è solo di sostegno al disabile ma lo è di tutto il gruppo, contribuendo ad un’armonica integrazione e collaborazione reciproca.
Uno dei suoi maggiori punti di forza è stato affrontare con determinazione le situazioni più difficili. “I casi più delicati sono stati quelli legati ai disturbi dello spettro autistico, dove il primo compito è spostare completamente il proprio paradigma comunicativo. È faticoso, ma ti arricchisce. In questo modo, ho scoperto risorse interiori che non sapevo di avere”. Non è mancato il confronto anche con le famiglie, talvolta segnato da divergenze, ma sempre vissuto con equilibrio, cercando soluzioni condivise che tutelassero il benessere del minore, tenendo conto anche delle difficoltà o delle necessità della situazione famigliare.
La sua è l’esperienza di un lavoro educativo come progetto collettivo e profondamente femminile. “Il nostro settore è composto per il 90% da donne, e spesso si riescono a creare sinergie straordinarie, circoli virtuosi autentici. Chi fa questo mestiere lo fa per missione, e questo crea squadre eccellenti”.
Ci sembra un’ottima testimonianza di sorellanza, il tema della terza edizione della mostra, contrariamente al pregiudizio largamente diffuso sulla difficoltà che le donne avrebbero nel collaborare.
Dopo il diploma di ragioneria, una prima laurea triennale in Scienze della Comunicazione e la magistrale in Pedagogia, ha deciso di rimettersi in gioco e, proprio lo scorso 17 giugno, conseguendo una seconda laurea magistrale in Linguistica Moderna, per ampliare le sue prospettive professionali nel mondo scuola.
“Se tornassi indietro, seguirei da subito il mio istinto, che, invece, è stato frenato dalla paura di non realizzarmi professionalmente o di praticare una professione mal retribuita. Sono felice di essermi rimessa in discussione: quello che ricevo ogni giorno in termini di qualità della vita e soddisfazione personale è altissimo. Spero di diventare presto docente curricolare”.