Alfa Romeo 75 Evoluzione
Profumo di Alfa
La berlina con il vizio della pista

PASSIONE ALFA

Mario Fontana racconta la Giulia TI Super nell’ultimo numero di Profumo di Alfa  

Profumo di Alfa torna a raccontare la storia del Museo Fratelli Cozzi nel numero 23, in edicola dal 12 settembre, dedicando un bellissimo articolo a una delle due auto uniche al mondo della nostra collezione.

Un ringraziamento speciale a Matteo Carati che ha scritto il testo, a Domenico Pepè per la consulenza, ad Archivio F&V Editori per le fotografie e al Friends of Museo Mario Fontana.

Se avete mai immaginato una Giulia Quadrifoglio nata per stracciare il mondo delle berline tranquille degli Anni ’60, ecco a voi l’Alfa Romeo Giulia TI Super“. Buona lettura …

 

Il leggendario Quadrifoglio Verde

Quando nel 1963 Alfa Romeo tirò fuori dal cilindro la Giulia TI Super, non stava semplicemente aggiornando una berlina: stava preparando un’arma da pista con la carrozzeria di una signora perbene.

Una sorta di Clark Kent con il Quadrifoglio sul petto, pronta a entrare in pista e far vedere chi comandava davvero tra le berline europee. Del resto, negli anni Sessanta andava di moda prendere una tranquilla quattro porte, alleggerirla un po’, metterci sotto un motore degno di un gran premio e spedirla a correre.

La Ford ci aveva provato con la Cortina Lotus, un’inglesina imbizzarrita; l’Alfa non poteva certo restare a guardare. E così nacque la Giulia TI Super, sigla 105.16, versione alleggerita, potenziata e benedetta dal leggendario Quadrifoglio Verde.

Giulia TI Super: dettagli fanali, logo Alfa Romeo, interni con cambio a pavimento 

Dieta Severissima (e senza comfort)

La base era la solida Giulia TI, ma al Portello non si limitarono a metterle un adesivo sportivo e due scarichi cromati. Si partì con una cura dimagrante più di una modella in dieta pre-estate: via i deflettori in vetro, sostituiti da elementi in Perspex.

Porte posteriori alleggerite al punto da perdere alzavetri e maniglie interne. Il cofano e il baule? Spogliati dell’isolante acustico, tanto il rombo del bialbero valeva più di mille parole.

Dentro, addio panchette borghesi: spazio a due sedili profilati, spartani ma ben avvolgenti. Al posto della plancia elegante, un lamierino con finto legno (ma tanto nessuno ci badava davvero) e strumenti tondi presi in prestito dalla Giulia SS. E poi, chicca per i puristi: cerchi in lega Elektron Campagnolo, leggerissimi.

I fari centrali? Eliminati, sostituiti da griglie per far respirare meglio il filtro. Per non farsi mancare nulla, niente braccioli, niente sportellino al cassetto portaoggetti (ma una luce interna sì: siamo pur sempre italiani).

Foto interni anteriori Giulia TI Super: “Nell’abitacolo, via tutto ciò che può appesantire: sportellini, maniglie, braccioli. Il Risultato? Meno eleganza, ma prestazioni al top

SOTTO IL COFANO, IL CUORE GIUSTO

Il motore era un 4 cilindri bialbero da 1.570 cc, codice AR00516, con 2 carburatori doppio corpo Weber 45 DCOE: 112 cavalli DIN a 6.500 giri/min, che oggi possono sembrare pochi, ma nel 1963 significava superare i 185 km/h con una berlina familiare.

Il cambio a 5 marce era montato al pavimento (e non più sul piantone), e l’impianto frenante contava su 4 dischi Dunlop, senza servo, ma con tanta grinta. Le sospensioni? Le stesse della Giulia normale, ma ritarate per farla stare in strada come un felino arrabbiato.

Quadrifoglio verde sulla Giulia TI Super e sulla Giulia NRing

Un colore unico

Elisabetta Cozzi ci ha svelato i retroscena affascinanti dell’ingresso di un’auto davvero speciale nella collezione del Museo: una Giulia TI grigia, un pezzo unico che racchiude in sé una storia di passione, intuizione e lungimiranza. Com’è nata l’idea di acquisire proprio quella Giulia Ti, così particolare nel suo colore?

«Erano gli Anni ’60 e mio padre – racconta Elisabetta – una volta, in Alfa Romeo, la vide, il colore lo colpì e chiese se poteva acquistarla». Sembrava una normale transazione, e gli risposero che era “un’auto in vendita come tutte le altre”. Ma questa Giulia Ti nascondeva delle peculiarità che la rendevano unica fin da subito: «aveva cambio a cloche, sedili da corsa e cinture di sicurezza – e persino – il sedile posteriore che con semplici manovre si tirava via per alleggerire la macchinaCi fu subito una connessione speciale con quell’auto, quasi un presentimento del suo valore futuro? Nonostante l’interesse, la Giulia prese inizialmente un’altra strada. «Mio padre aveva un cliente affezionato, il professor Marinoni, un medico radiologo, che voleva assolutamente una Giulia, proprio quella».

Qui l’intuito di suo padre giocò un ruolo fondamentale. «Allora gli ha proposto: “Guarda, facciamo una cosa, io ti vendo questa a patto che però tu la manutieni bene, la porti qua in concessionaria per la manutenzione».

Una clausola insolita, dettata dalla conoscenza profonda che il padre di Elisabetta aveva del cliente e del suo stile di guida. La vendita fu formalizzata il 17 giugno del 1964. Ma la storia non finì lì. Come ha fatto, suo padre, a garantirsi la possibilità di riacquistare un’auto così specifica in futuro? Il colore della vettura fu la chiave. «Visto che era una
“prova colore” – perché tutte le Ti erano di colore Bianco Spino – mio papà aveva messo nel contratto una clausola che prevedeva in caso futuro di sostituzione una prelazione di riacquisto a suo favore».

Un’intuizione geniale che si rivelò cruciale. «E così è stato – continua Elisabetta – mio padre aveva già compreso il potenziale valore di quel veicolo, aveva già adocchiato questa auto come da tenere perché sapeva che era un’auto speciale».

Quando è finalmente rientrata la Giulia Ti grigia nella collezione e quale significato riveste oggi per il Museo? Come molte altre auto presenti al Museo, fu ricomprata
il 21 giugno 1981 per tenerla nella collezione. Oggi, quella Giulia Ti grigia è uno dei pezzi più pregiati del Museo.

«Ora è uno dei pezzi unici che attende solo di essere ammirata dagli appassionati. Un testimone silente di una storia affascinante, che unisce passione automobilistica e una visione a lungo termine».

Dettagli interni della Giulia TI Super: coda tronca, pedaliera e sedili interni 

PRODOTTA COL CONTAGOCCE (MA COL CUORE)

Prodotta tra il 1963 e il 1964 in soli 501 esemplari, la TI Super era bianca per scelta strategica (tranne uno, grigio, oggi al Museo Fratelli Cozzi e protagonista del nostro set fotografico, e un rosso finito in Argentina). Il prezzo? 2.525.000 lire, mica bruscolini: il 60% in più rispetto a una Giulia TI normale. Per questo la maggior parte finì nelle mani di scuderie private: tra queste, la Scuderia Sant’Ambroeus e il Jolly Club, con preparatori del calibro di Facetti e Conrero.

CORSE (TANTE), VITTORIE (PURE)

Anche se l’Alfa era ufficialmente “in pausa” dalle corse dal 1951, la TI Super scese in pista eccome. C’era sempre qualcuno del reparto collaudi Alfa a “fare un giro” nei paddock, magari con qualche consiglio e qualche pezzo speciale nel baule. Tra il 1963 e il 1965, collezionò successi in pista, rally, cronoscalate e perfino endurance prima di cedere lo scettro alla Giulia Sprint GTA.

Il capolavoro? Il Tour de France Automobile del 1963: quinta assoluta (dietro solo alle Ferrari 250 GTO e alle Jaguar), ma prima nella sua categoria. Tradotto: una berlina con 4 porte mise in riga una lunga lista di sportive più blasonate e costose. E chi se ne stupisce? La TI Super è una specie rara: una berlina che correva come una coupé e ruggiva come una vera Alfa.

Dettaglio numero telaio Giulia TI Super

La moda delle SW 

Verso la metà degli Anni ’70 e l’inizio degli ’80 del secolo scorso scoppiò la moda delle Station Wagon… in pratica quelle che una volta si chiamavano giardinette. Anche se non c’era nulla da trasportare, non possedere una SW per recarsi in ufficio era impensabile per qualsiasi manager in carriera. Però l’offerta commerciale di vetture di un certo livello che un giovane rampante aveva a disposizione era abbastanza limitata, e sicuramente l’Alfa Romeo non rientrava nelle ipotesi di acquisto, finché un bel giorno a Luca Grandori, allora direttore di Autocapital, venne un’idea: perché non realizzare una SW che potesse dare del filo da torcere alla Volvo 245, una delle vetture di tendenza più ambite dell’epoca?

Ci provò inizialmente commissionando, nel 1983, a Zagato la trasformazione di un’Alfetta da berlina a SW, ma quando il primo modello fu pronto per uno scherzo del destino l’Alfa Romeo sostituì l’Alfetta con la 90. Arrendersi? Mai. Così Grandori non perse tempo e, nel 1985, si rivolse alla Carrozzeria Marazzi commissionando un’altra SW, in pratica un’evoluzione della precedente, usando la nuova base dell’Alfa 90 che oltretutto poteva sfruttare il potente motore V6 da 2,5 litri, precedentemente disponibile solo per l’Alfa 6 e l’Alfetta GTV.

Questa mossa sembrava promettente. Il designer della Marazzi, Mario Mauri, prese ispirazione dalla “prima della classe” Volvo 245 e dall’Audi 100, integrando elementi dell’Alfa 90, ma arricchendola con particolari sfiziosi e intelligenti come il telo copribagagli che si ritraeva lateralmente anziché arrotolarsi dietro il sedile posteriore. Questo sistema risultava molto più pratico, evitando il problema di dover rimuovere e gestire l’avvolgitore durante il trasporto di oggetti voluminosi. Purtroppo, nel 1986, del progetto non se ne fece più niente anche a causa dello scarso successo di vendita della berlina. Questo modello ritratto nelle foto fa parte della collezione dell’Alfa Blue Team. 

Generazioni di Giulia a confronto:  Giulia TI Super del Museo Fratelli Cozzi accanto alla Giulia NRing 

Fotografie Archivio F&V Editori 

Settembre 2025