Donne e motori
Yuko Noguchi, Gioia Sottocasa, Francesca Azzali e Paola Ferrario
Novembre 2025
RITA PAPARELLA
Ingegnere nucleare, PhD in fisica delle particelle. Giornalista pubblicista e consulente tecnico in progetti industriali di innovazione e R&D
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“Donne e Motori? Gioie e basta” è il progetto fotografico del Museo Fratelli Cozzi che sfida i pregiudizi di genere, raccontando la forza di 40 donne attraverso gli scatti di Camilla Albertini. La terza edizione celebra la sorellanza, per superare gli stereotipi sulla solidarietà femminile.
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Come ogni mese, vi accompagniamo alla scoperta delle donne protagoniste e dei luoghi che hanno ospitato e ospiteranno la mostra e il progetto.
Yuko Noguchi: Il sorriso gentile che unisce Giappone e Italia
Giornalista e coordinatrice di ricerca storica per il mondo delle auto d’epoca. Collabora con testate giornalistiche giapponesi
È arrivata in Italia alla fine degli anni Ottanta senza conoscere il Paese, attratta dal Rinascimento e dalla voglia di cambiare vita. «Sono venuta senza sapere nulla, ma con tanta voglia di imparare». Da allora lavora come giornalista e coordinatrice di ricerca storica per il mondo delle auto classiche, mettendo in contatto il Giappone e l’Italia attraverso storie, eventi e persone.
Come spesso accade nella vita, tutto ha avuto inizio per caso, grazie all’incontro con una testata giapponese arrivata a Maranello per seguire la Ferrari, da cui era stata contattata per fare da interprete, l’ha portata a scoprire un settore che non immaginava. In quella occasione si accese la scintilla che la portò ad inventarsi un mestiere che non esisteva all’epoca, nel settore dell’auto per i rappresentanti dei media, quello che lei ama definire “PONTE” tra Italia e Giappone. È diventata coordinatrice e organizzatrice per la stampa giapponese in Italia, ma con un approccio particolare: «Io amo le persone che si appassionano a questo mondo». È questo interesse per le relazioni umane che caratterizza il suo lavoro. Ascolta, documenta, collega storie che altrimenti rischierebbero di perdersi.
Yuko si muove con metodo e precisione, dando valore alla conoscenza delle persone e delle storie. Anche quando non lavora, non si ferma mai: visita musei, segue eventi, partecipa a manifestazioni culturali sull’automotive. «Non voglio che vengano dimenticate le persone che hanno creato la cultura dell’automobile d’epoca». Così raccoglie testimonianze, ricostruisce percorsi, conserva memorie, in un’esistenza fatta di pazienza e attenzione ai dettagli, di ricerche minuziose e contatti coltivati nel tempo.
Vivere tra due culture le ha insegnato a osservare le differenze senza giudicarle. «I giapponesi sono meticolosi nel programmare, invece gli italiani lo sono meno. Questa è la differenza. Sono due mentalità lontane, ma entrambe parlano di amore». Partecipa al volontariato per pulire la città, un gesto per lei naturale, che rispecchia tanto la cultura d’origine. Allo stesso tempo, apprezza il calore italiano, la spontaneità, il modo di vivere gli spazi comuni in maniera conviviale. Non cerca di fondere le due culture, ma le vive entrambe con curiosità e rispetto.
Nel mondo dei motori, storicamente maschile, Yuko ha costruito la sua reputazione con la serietà del lavoro. L’equilibrio tra rigore giapponese e flessibilità italiana è diventato il suo modo di lavorare. Sa quando insistere per ottenere le informazioni necessarie e quando adattarsi alle circostanze.
Ogni anno, a novembre, organizza a Tokyo una festa che riunisce appassionati di auto d’epoca, giornalisti e amici. Tutto questo per offrire agli amanti di auto d’epoca giapponesi esperienze autentiche e approfondite. «Lo scopo è di creare un collegamento tra gli appassionati di auto, giapponesi e italiani. Mi piacciono i veri appassionati di auto d’epoca». E così, Yuko Noguchi ha costruito negli anni questo suo ruolo unico, appunto, di ponte tra due mondi. Dopo circa quattro decenni in Italia, lo fa ancora con discrezione, competenza e una curiosità che non si è mai spenta.
Yuko Noguchi con Carlo Facetti
Yuko Noguchi
Yuko Noguchi
Yuko Noguchi con Paul Frère
Yuko Noguchi con Giotto Bizzarrini
Gli amici di Modena a Nagoya
Gioia Sottocasa: Libera di scegliere, ogni volta
Consulente PR & Media Relations. Esperta in comunicazione di sostenibilità
Ci sono persone che cambiano direzione senza voltarsi, perché sanno riconoscere l’istante esatto in cui qualcosa ha già finito di insegnare. Gioia Sottocasa è una di loro. Nella sua carriera, e nella sua vita, il cambiamento non è mai stato un salto nel vuoto, ma un gesto ben ponderato.
Dalla musica alle piazze, con i Pooh e i Tazenda, alla rivoluzione etica di Lush quando in Italia esisteva un solo negozio, fino alla direzione generale dell’azienda, Gioia ha imparato presto che la crescita arriva quando smetti di aggrapparti a ciò che funziona e scegli di esplorare ciò che non conosci ancora.
Il contrario del tanto famigerato e temuto “L’ho sempre fatto così”. Dopo sei anni intensi in LUSH e un lutto che la segna profondamente, si concede una traversata oceanica in catamarano, un viaggio catartico dentro se stessa oltre che nel profondo blu. Al ritorno, capisce che è tempo di chiudere un capitolo. «L’ho fatto a malincuore, ma era necessario per respirare di nuovo».
Poi la clinica olistica di LifeGate, la web tv C6TV, la libera professione, e oggi la consulenza strategica in comunicazione e sostenibilità. Ogni tappa è un ecosistema diverso, ma lo sguardo resta lo stesso: curioso, etico, concreto, rimanendo sempre fedele a se stessa. È in questo equilibrio tra radici e movimento che vive la sua indipendenza. Un valore che le arriva da lontano, da una famiglia in cui l’autonomia femminile era una forma di dignità quotidiana. «Mio padre voleva che le figlie fossero indipendenti, mia madre era una femminista ante litteram, mia nonna aveva una modisteria quando alle donne non era permesso essere imprenditrici e mio nonno per sposarla dovette discutere con la famiglia d’origine, che la riteneva scandalosa. L’indipendenza, in casa nostra, era una specie di dovere morale». Da qui nasce la convinzione che la libertà vada nutrita ogni giorno: nel lavoro, nelle relazioni, nelle scelte che si fanno e in quelle che si rifiutano.
Oggi Gioia è una professionista matura, ma in continua evoluzione. Guarda alla sostenibilità come a una grammatica del presente, non come a un’etichetta. «Non comunico nulla che non sia stato fatto davvero, con risultati dimostrabili. Meglio tacere che fare greenwashing». In un settore dove spesso l’apparenza vince sulla sostanza, lei preferisce la verità: un linguaggio sobrio, una narrazione che nasce dai fatti.
Nella sua idea di comunicazione c’è sempre un margine umano: una tensione verso la qualità, la trasparenza e la responsabilità. E nella sua visione femminile, il diritto di non dover scegliere tra ruoli, passioni e identità. «Una donna deve potersi permettere di fare e scegliere tutto, con garbo e consapevolezza, senza porsi limiti».
Non è un caso che parli di futuro con calma, come chi non ha fretta di arrivare ma di capire. “Bisogna saper ascoltare se stesse. Capire cosa significa davvero successo, perché non è uguale per tutte. Quando lo scopri, allora puoi inseguirlo senza perderti».
Dai primi forum digitali alla rivoluzione dei social, oggi all’intelligenza artificiale, Gioia ha attraversato cambiamenti cruciali e sfidanti, assecondandone le onde anomale con disciplina, studio, e un’etica che non ammette compromessi. È l’equilibrio raro tra fermezza e flessibilità, quello che trasforma la libertà in metodo e la curiosità in direzione. Capire quando è ora di cambiare non è un dono, è un esercizio quotidiano di ascolto, anche di noi stessi. Gioia lo pratica da sempre ed è forse questa la sua forma più autentica di indipendenza: sapere quando restare, ma soprattutto quando partire.
Gioia Sottocasa
Gioia Sottocasa
Francesca Azzali: Quando l’Italia corre nel segno della bellezza
Deputy Editorial Director of Cavallino and Founding Member of Canossa
L’incredibile algoritmo della vita è in grado di generare infinite trame diverse. Quella di Francesca Azzali unisce la cultura delle parole e la passione per la meccanica, la poesia e la velocità. Nata tra i mattoni tiepidi di storia di Reggio Emilia, cuore pulsante della Motor Valley, Francesca ha trasformato un amore privato per le auto in un progetto che oggi racconta al mondo l’eccellenza italiana del motorismo d’epoca.
«Sono laureata in Lettere moderne a Bologna, con la passione per il giornalismo. Con mio marito partecipavamo alle gare di regolarità e un giorno ci siamo chiesti come sarebbe potuto essere un evento costruito davvero intorno ai sogni degli appassionati. Così è nata Canossa Events». Era il 2011 e da quella intuizione è germogliata un’azienda che oggi conta oltre sessanta persone e organizza esperienze uniche per collezionisti e amanti delle auto classiche e delle supercar in tutto il mondo. Luigi Orlandini, il marito di Francesca, ne è fondatore e CEO.
I suoi eventi, dalla Modena Cento Ore, al Terre di Canossa, fino ai concorsi d’eleganza Cavallino Classic di Palm Beach, Modena e Abu Dhabi, non sono semplici competizioni, ma viaggi attraverso l’anima dell’Italia e non solo. «Dietro ogni curva ci sono storia e bellezza che non si trovano in nessun’altra parte del mondo. Mostrare l’Italia conosciuta e quella nascosta dei borghi minuscoli, far correre una Ferrari storica tra Assisi e Firenze, e poi cenare nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio: è qualcosa che apre il cuore».
La Modena Cento Ore, ad esempio, è molto più di una gara. È un racconto di emozioni dove i motori d’epoca si confrontano su circuiti leggendari come Imola e Mugello, ma anche lungo le strade, appositamente chiuse, che attraversano paesaggi sospesi nel tempo. È lì che il concetto di “heritage” diventa vivo: un’eredità che vibra, che profuma di benzina e arte.
Nel 2020, con l’acquisizione del leggendario Cavallino Magazine, la rivista americana che dal 1978 è la voce delle Ferrari d’epoca, Francesca fa un ritorno alle origini, immergendosi nuovamente nel giornalismo e nel mondo dell’editoria. Oggi è vicedirettore editoriale del magazine e curatrice del suo rinnovamento grafico e stilistico: «Ho lasciato il mio ruolo di responsabile della comunicazione in Canossa per tornare alle origini, al giornalismo. Abbiamo raddoppiato le pagine, rinnovato la grafica, e creato una sezione per le Ferrari moderne. Per noi le auto non vanno solo ammirate: vanno vissute e guidate».
In Cavallino, Francesca ha trovato la sintesi perfetta tra la precisione tecnica e la sensibilità estetica, tra la cultura del restauro e l’arte del racconto. Il suo sguardo femminile ha portato equilibrio, colore e una nuova capacità di emozionare. Essere una donna in un settore ancora dominato dagli uomini non è stato semplice e Francesca lo ha sempre affrontato con un temperamento misurato e discreto. «Meglio una grande assenza che una piccola presenza. Sono una persona socievole, ma non ho bisogno del palcoscenico: preferisco avere la visione d’insieme».
La sua leadership è fatta di ascolto e fiducia. «Chi guida un team ha la responsabilità delle decisioni e degli errori. Ma è importante crescere insieme, anche dopo le discussioni. Le persone sono il vero motore di ogni successo». Siamo donne, per alcuni sembra impossibile, eppure sappiamo coniugare passione, famiglia e lavoro, avendo successo e senza rinunciare alla grazia.
«Canossa è stata come un figlio. Lasciarla in altre mani è stato difficile ma necessario. È come quando i figli lasciano il nido: un gesto d’amore». Nel mondo dei motori si parla spesso di “heritage”, ma per Francesca l’eredità più importante è quella delle radici: «Noi siamo quello che siamo non solo per ciò che facciamo, ma per ciò da cui veniamo. Nelle auto storiche non c’è solo potenza, c’è bellezza, memoria e identità».
Ogni evento firmato Canossa diventa così una dichiarazione d’amore all’Italia: ai suoi paesaggi, ai suoi artigiani, alla sua capacità unica di fondere arte e ingegneria. «Parlare con le persone e vedere la meraviglia nei loro occhi non ha prezzo. È la prova che l’Italia ha ancora molto da insegnare al mondo: non solo come si costruiscono le macchine, ma come si costruiscono emozioni».
Sfoglia la galleria fotografica e sogna con i meravigliosi eventi di Francesca Azzali
Paola Ferrario: responsabilità come eredità e scelta
Responsabile amministrativo e il HR gruppo SEV S.p.A.
Quando Paola Ferrario è entrata nell’azienda di famiglia, non aveva in mente di occuparsi di numeri. Fino a quel momento aveva lavorato altrove, in un contesto vivace e commerciale, lontano dalle logiche contabili. Poi la malattia del padre, Roberto Ferrario, storico presidente della Società Editoriale Varesina, ha cambiato tutto.
Responsabilità: una parola che allora pesava come un’eredità, oggi suona come una conquista. «Io, la figlia del capo, e senza esperienza. Sono entrata in punta di piedi, chiedendo di imparare, non di dirigere. Ho detto non so nulla, aiutatemi». È stato il primo passo per guadagnarsi non solo la fiducia del team, ma anche il diritto di essere ascoltata non come “la figlia di”, ma come una professionista.
Da quell’approccio umile e consapevole nasce la prima forma di leadership: la capacità di riconoscere ciò che non si sa. Con il tempo, la precisione dei numeri ha sostituito l’imbarazzo dei primi giorni e, insieme ai numeri, è cresciuto anche il senso di responsabilità verso le persone che quei numeri li fanno vivere. Quando, oltre all’amministrazione, Paola ha assunto anche la gestione delle risorse umane, il confine tra ruoli si è fatto più sottile. «I due ambiti si parlano continuamente: le persone sono parte della struttura economica e viceversa. In un’azienda di famiglia, però, le dinamiche sono diverse. Ogni decisione ha un impatto che va oltre il bilancio».
Oggi guida un gruppo eterogeneo, dove la dimensione umana è centrale. «Molti colleghi mi conoscono da quando ero bambina. Il segreto è non mettersi mai su un piedistallo: la fiducia si costruisce solo se si lavora insieme, non sopra gli altri». Una leadership tranquilla, che non alza la voce ma tiene il ritmo, che non impone ma accompagna. Nel suo ufficio, la parola controllo ha un significato diverso: non è sorveglianza, ma presenza. «Devo potermi fidare, e il mio team sa che può fidarsi di me. L’autonomia è un valore reciproco: la conquisti se la sai dare».
La responsabilità, per Paola, non è un peso da portare ma un equilibrio da mantenere: tra passato e futuro, tra famiglia e impresa, tra precisione e umanità. Una doppia vita, come quella di tante donne che gestiscono ruoli e figli, bilanci e imprevisti. «Io e mio marito ci arrangiamo, senza aiuti esterni. Ci dividiamo tutto, flessibilmente. È la stessa logica che applico in azienda: ognuno deve sapere fare la propria parte, ma anche adattarsi quando serve».
La sua non è una visione retorica della leadership femminile, ma una constatazione concreta. «Nel nostro gruppo siamo più donne che uomini, e il clima è quasi familiare. Nessuna distinzione di ruoli: conta l’impegno di ognuno». Responsabilità è anche verso i giovani che entrano, con energie nuove ma ancora privi di un attaccamento aziendale. «Oggi si guarda molto all’equilibrio vita-lavoro e poco al senso di appartenenza. Ma se riesci a creare un rapporto sincero, se sei presente nei momenti difficili, le persone si affezionano. Non per dovere, ma per scelta».
In fondo, è questo il suo modo di essere manager: costruire valore attraverso relazioni, fiducia, cura. E così, quella giovane donna che era entrata con i “piedi di cristallo” oggi cammina sicura e consapevole di ciò che ha costruito, passo dopo passo, insieme agli altri.
Paola Ferrario
Paola Ferrario


